Il correttore di bozze

Il correttore di bozze

Ci siamo. Ecco il testo da correggere. 

Vi consiglio sempre di lavorare su carta se possibile (come peraltro predilige la maggior parte delle case editrici e dei service editoriali) e di segnalare con una penna colorata tutti gli interventi utilizzando i segni di correzione (ce ne sono tanti, li trovate online se non li conoscete) e in corrispondenza dell'errore segnalato nel testo riportate a margine la correzione, utilizzando ovviamente segni diversi se su una stessa riga compaiono più errori, in modo da facilitarne poi l'inserimento o la valutazione nella fase redazionale successiva. Un altro suggerimento: utilizzate un righello che facilita la lettura, evitando di saltare qualche parola o riga.

Che si tratti di un autore esordiente o famoso, scrittori che hanno già pubblicato molto, fate attenzione, il refuso è sempre dietro l'angolo ed è per questo che esiste la figura del correttore di bozze: la classica svista come l'inversione di lettere, ripetizioni involontarie, incongruenze ecc. sono assolutamente nella norma. 

Oltre agli errori grammaticali che si trovano più frequentemente come gli accenti, è, tè ma perché e affini (affinché, poiché, dopodiché ecc.) vogliono l'accento acuto, viceversa cioè, caffè, ahimè vogliono l'accento grave; l'uso della d eufonica (limitato ai casi di incontro della stessa vocale come ed esclamò, ad altri) ma errato nel caso di ad adattare (per una questione di cacofonia), l'unica eccezione consentita è ad esempio; l'uso del trattino breve, medio o lungo, (spesso sconosciuto agli autori meno esperti); l'uniformità e adeguatezza nell'utilizzo dei caratteri tondo, corsivo o maiuscoletto; altrettanto vale per l'uso della maiuscola e della minuscola. In tutti questi casi a questo proposito occorre attenersi rigorosamente alle norme che l'editore fornisce e che possono variare molto da una casa editrice all'altra.

Ma veniamo a casi particolari che un correttore non può non conoscere:

1. le citazioni o i discorsi diretti vanno sempre tra virgolette, da aprire e chiudere. La scelta tra virgolette basse (caporali) o virgolette alte varia molto tra le case editrici, quindi seguire rigorosamente le norme ma se ad esempio all'interno del discorso diretto tra caporali c'è un altro dialogo, questo sarà necessariamente tra virgolette alte o viceversa;

2. per quanto riguarda la punteggiatura, la virgola non deve mai separare il soggetto dal complemento oggetto così come i due punti non devono essere seguiti da una frase introdotta anch'essa dai due punti; 

3. Più complesso l'uso della punteggiatura in presenza di virgolette (discorso diretto o citazione) perché non esiste una regola universale ma bisogna sempre fare riferimento alle norme. Per fare un esempio ci sono case editrici che preferiscono che il punto fermo chiuda sempre la frase prima delle virgolette e altre che lo prediligono fuori dalle virgolette, distinguendo il punto fermo dagli altri segni di interpunzione come il punto esclamativo, interrogativo, trattini di sospensione ecc. dentro le virgolette, differenziando così discorso diretto o dialogo dalla narrazione. Ad esempio, Mi disse: «Devi fare così». oppure «Così va bene?»

4. L'uso del congiuntivo. Anche se in fase di editing il suo utilizzo dovrebbe già essere stato corretto ed eventualmente discusso con l'autore, è bene che anche il correttore di bozze ne conosca l'uso proprio, improprio, sbagliato. 

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L'uso del congiuntivo

Nonostante le frequenti dichiarazioni sulla presunta morte del congiuntivo nelle frasi dipendenti nell'italiano contemporaneo, esso è ancora di vitale importanza ed è bene dunque conoscerne le regole fondamentali. 

1. Nelle proposizioni indipendenti, il congiuntivo può avere valore:

a) esortativo (al posto dell'imperativo): vada via di qua!;

b) concessivo (segnalando un'adesione, anche forzata, a qualcosa): venga pure a spiegarmi le sue ragioni;

c) dubitativo: che abbia deciso di non venire? (analogamente si può usare l'indicativo futuro: sarà vero?; l'infinito: che fare?; il condizionale: cosa gli sarebbe successo?);

d) ottativo (per esprimere un augurio, una speranza, ma anche un timore): fosse vero!;

e) esclamativo: sapessi quanto mi costa ammetterlo!

Nelle proposizioni subordinate, occorre distinguere i casi in cui si richiederebbe il congiuntivo da quelli in cui la scelta rispetto all'indicativo implica sfumature di significato (cfr. Altieri Biagi, 1987, pp. 770-71). 

Il congiuntivo si usa:

1) con alcune congiunzioni subordinanti, quali affinché, benché, sebbene, quantunque, a meno che, nel caso che, qualora, prima che, senza che;

2) con aggettivi o pronomi indefiniti (qualunque, chiunque, qualsiasi, ovunque, dovunque);

3) con espressioni impersonali, come è necessario che, è probabile che, è bene che;

4) in formule ormai fissate nell'uso (vada come vada; costi quel che costi). 

In altri casi, si dovrà distinguere tra verbi che reggono il congiuntivo, l'indicativo o entrambi con significato diverso (cfr. Serianni, 1989, XIV, pp. 49-52). 

Reggono il congiuntivo i verbi che esprimono "una volontà (ordine, preghiera, permesso), un'aspettativa (desiderio, timore, sospetto), un'opinione o una persuasione", tra cui: accettare, amare, attendere, augurare, chiedere, credere, curarsi, desiderare, disporre, domandare, dubitare ma all'imperativo negativo possono richiedere l'indicativo: esigere, fingere, illudersi, immaginare, negare, ordinare, permettere, preferire, pregare, pretendere, raccomandare, ritenere, sospettare, sperare, supporre, temere, volere

Richiedono l'indicativo, solitamente, i verbi che esprimono giudizio o percezione, tra cui affermare, confermare, constatare, dichiarare, dimostrare, dire, giurare, rispondere, sapere, scrivere, sentire, sostenere, spiegare, udire, vedere

Infine, come abbiamo detto, alcuni verbi possono essere utilizzati all'indicativo o al congiuntivo, con significato leggermente diverso.

ammettere, ind. "riconoscere": ammisi davanti al professore che non avevo studiato bene; cong. "supporre, permettere"; ammettendo che tu abbia ragione, cosa dovrei fare?;

badare, ind. "osservare": cercò di non badare all'effetto che gli faceva quella strana voce; cong. "aver cura": mi consigliava di badare che non cadessi;

capire, comprendere, ind. "rendersi conto": non vuole capire che io non sono un suo dipendente; cong. "trovare naturale": capisco che tu voglia andartene;

considerare, ind. "tener conto": non considerava che nessuno voleva seguirlo; cong. "supporre": arrivò a considerare che non ci fossero altre possibilità;

pensare, ind. "essere convinto" penso anch'io che tu sei stanco; cong. "supporre": penso che tu sia stanco

Per approfondimenti: 

  • Altieri Biagi M. L. (1987), La grammatica dal testo, Mursia, Milano;
  • Leone L. (2002), Conversazioni sulla lingua italiana, presentazione di Giovanni Nencioni, Olschki, Firenze;
  • Prandi M. (2002) in Intorno al congiuntivo, a cura di Leo Schena, Michele Prandi, Marco Mazzoleni, CLUEB, Bologna;
  • Serianni L. (1989), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, UTET, Torino.
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